Parlerò dalla mia esperienza personale. Cosa ho imparato dall’anno della pandemia?
Una cosa che ho imparato è di fare tesoro di ogni giorno più che mai. All’inizio della pandemia ho iniziato a scrivere, sul mio nuovo computer di casa, un registro che ho chiamato il mio “Diario della Peste”. Ho vissuto ogni giorno come un dono prezioso, da non dare per scontato, e ho sentito un grande desiderio di registrare le esperienze di ogni giorno e di riflettere da quella prospettiva. Ho fatto questo da marzo a novembre 2020. Poi l’impulso si è esaurito.
Ma un’altra abitudine legata alla pandemia è rimasta con me. Ho un quaderno rosso brillante in cui scrivo, come prima cosa al mattino, due versi del poeta polacco Czesław Miłosz (premio Nobel):
Zaraz dzień.
Jeszcze jeden.
Zrób co możesz.
(Un nuovo giorno.
Uno in più.
Fai quello che puoi).
E poi penso attentamente al giorno che verrà, prego su di esso, e annoto quello che devo fare e quello che posso fare. Mi chiedo: Se questo è il mio ultimo giorno, cosa posso fare oggi? L’immagine che mi parla di più (dall’inizio della pandemia) è il “Seminatore” di Van Gogh, che semina in un campo al tramonto. Per me, questi semi sono, prima di tutto, le e-mail che posso scrivere in un dato giorno, a varie persone, con calore.
Guardando indietro all’anno della pandemia, vedo che ho recuperato molte persone del mio passato con cui non ero in contatto da molto tempo. Mi sono messo in contatto con loro e loro hanno risposto.
Come credente (un cristiano, un cattolico) ho imparato durante quest’anno quanto Dio sia, nelle parole dei Salmi, la mia roccia, e quanto sia centrale la Messa nella mia vita. Quando le chiese hanno chiuso a Canberra il 23 marzo 2020, il senso di perdita è stato indescrivibile. A quel punto, mi ero abituata a una Messa quotidiana e a un'”Ora Santa” quasi quotidiana davanti all’Eucaristia; e non potevo immaginare la mia vita quotidiana senza queste ricchezze. Inaspettatamente, trovai una soluzione magica al problema: scoprii che se mi mettevo appena fuori dalla chiesa, nell’intimità offerta dai roseti circostanti, con la faccia che quasi toccava la vetrata, potevo vedere la Messa celebrata dal prete nella chiesa vuota. L’ho fatto ogni giorno, fino a quando la chiesa è stata riaperta. Mi sono sentito benedetto.
In generale, sento che durante l’anno della pandemia mi sono avvicinato a Dio e alle persone, incluse molte con le quali avevo precedentemente perso i contatti. Sono anche diventato più concentrato nel mio lavoro sull’importanza critica della comunicazione globale, e sul ruolo che l’approccio “NSM” e il Minimal English possono giocare in questo senso. Non solo nel senso della trasmissione globale di informazioni, ma anche la trasmissione globale di speranza e senso di scopo. Per come la vedo io, questo può essere raggiunto attraverso il potere di parole semplici – parole che si possono trovare in tutte le lingue e che possono risuonare in tutti i cuori umani. Parole come “vivere” e “morire”. Parole come “anima”. Parole come “buono” e “vero”.
Nel maggio 2020, in risposta ad un SOS dall’Italia di Maria Giulia Marini, ho scritto “Sette messaggi essenziali per il tempo del Coronavirus”. Si possono trovare online https://nsm-approach.net/archives/9654 o http://journals.rudn.ru/linguistics/article/view/24093
Questi messaggi sono stati tradotti in molte lingue e hanno chiaramente colpito nel segno. Come molti hanno notato, parole e frasi semplici e trasparenti parlano direttamente al cuore e possono aumentare il nostro senso di solidarietà umana. Sant’Agostino, un tempo un giovane dorato ed egocentrico, quando scrisse le sue “Confessioni” imparò a pensare alle altre persone come ai suoi “compagni nella mortalità” (“consortes mortalitatis meae”). Lo stesso pensiero espresso con parole semplici e universali è, mi sembra, ancora più potente:
Possiamo pensare così di tutte le persone:
Essi moriranno, come io morirò.
Possono morire oggi, come io posso morire oggi.
Voglio fare qualcosa di buono per loro oggi, se posso.
È un bene se pensiamo così delle persone ogni giorno.