In un articolo del 2013 pubblicato sul BMJ Open, Alicia O’Cathain e colleghi hanno intrapreso una revisione delle pubblicazioni su riviste scientifiche riguardo l’impiego della ricerca qualitativa nei Randomized Control Trial (RCT). L’obiettivo non era tanto di sintetizzare i risultati esposti in questi articoli, quanto di classificarli in un quadro di riferimento.
In questa review, gli autori hanno incluso articoli pubblicati in inglese tra il 2001 e il 2010, che riportavano i risultati di studi qualitativi intrapresi prima, durante o dopo uno specifico RCT. Sicuramente, però, l’impiego di metodi di ricerca qualitativi in ambito di ricerca sperimentale e clinica è aumentato negli anni successivi al 2013.
In generale, il valore potenziale della ricerca qualitativa all’interno dei RCT era considerevole, e comprendeva:
- Il miglioramento della validità esterna degli esperimenti,
- La facilitazione dell’interpretazione dei risultati,
- Un supporto a chi effettuava le sperimentazioni nella relazione con i partecipanti al RCT,
- Un migliore indirizzamento della ricerca verso interventi più efficaci.
Come sottolineano O’Cathain e colleghi, è anche vero che in molti articoli vi erano indicazioni che i ricercatori non stessero capitalizzando questo potenziale, anche per via di una scarsa articolazione dei metodi qualitativi all’interno degli articoli scientifici che li rendeva poco chiari agli altri ricercatori EBM. Un altro problema sollevato dagli autori della review è che la ricerca qualitativa ha ancora difficoltà a essere pubblicata su riviste scientifiche di settore, in quanto ritenuta meno rigorosa e meno “oggettiva”.
Il quadro di riferimento è consultabile all’interno dell’articolo. Ora, aggiungiamo una considerazione a partire dalla nostra esperienza.
Come riporta Luigi Reale in un articolo su questa rivista, come Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD abbiamo intrapreso un’esperienza innovativa, introducendo la somministrazione della narrazione accanto agli strumenti quantitativi più classici all’interno di studi clinici osservazionali, valorizzando ciò che è soggettivo – l’esperienza individuale di malattia, che è unica – e non solo ciò che è oggettivo e quantificabile. Fino ad ora, l’esperienza sta ricevendo dei riscontri positivi, come emerge da questa intervista.
Inoltre, da anni proviamo a pubblicare gli esiti dei nostri progetti di medicina narrativa su riviste scientifiche, nello sforzo di dimostrare che fare ricerca attraverso l’uso della narrazione
è possibile, con un lavoro rigoroso e il rispetto dei criteri di analisi, e il confronto di due o più ricercatori in modo indipendente. Questo approccio consente di ottenere numerosi dati qualitativi e, attraverso la costruzione di pattern sulle ricorrenze nelle narrazioni, anche dati quantitativi per registrare un vissuto, un’emozione, un bisogno.