Conversazione con Giovanni Albano, medico anestesista e rianimatore, Direttore dell’Unità Operativa di Anestesia e Terapia Intensiva presso Humanitas Gavazzeni (Bergamo). Il dottor Albano ha scritto il libro I giorni più bui, la cui pubblicazione è prevista nel gennaio 2021 con Piemme (Mondadori) e di cui è uscito un e-book come anticipazione.
MGM. Vuoi presentarti, Giovanni?
GA. Sono siciliano emigrato a Milano con grande soddisfazione; sono stato accolto benissimo dai milanesi e poi dai bergamaschi. In Humanitas Gavazzeni c’era una grande tradizione di cardiochirurgia: io ho messo in piedi il gruppo dell’anestesia e rianimazione.
MGM. Come mai hai scritto I giorni più bui, un libro che racconta la storia dei giorni nell’ epicentro del COVID-19 a Bergamo?
GA. Ho fatto il liceo classico e mi è sempre piaciuto scrivere, questa volta ne ho sentito il bisogno, è stata una catarsi. Ho narrato di questi giorni perché rimanesse nella memoria quello che avevo passato e sentito. In questo modo mi sono sentito più in pace con me stesso per ricominciare… Si dice ricominciare è dimenticare. Per me non è così, ricominciare è non dimenticare. Mi sono buttato nella scrittura alla fine dei quaranta giorni cominciati il 24 febbraio e ho terminato attorno al 5 di aprile – e infatti ho cominciato a scrivere tra il 5 e l’ 8 aprile -, è stato mettere giù nero su bianco e lasciare memoria. Anche se ho ancora delle difficoltà nell’addormentarmi; e pensare che prima toccavo il letto e crollavo come un sasso.
MGM. Abbiamo sentito tutti di Bergamo, io ogni giorno che avanzava pregavo che chiudessero…
GA. Bergamo è stata come Pompei sotto l’eruzione del Vesuvio: talmente tanti possibili i fattori scatenanti, la quantità delle piccole medie imprese, la partita dell’Atalanta…
MGM. Nel tuo e-book c’è grande attenzione al momento in cui scopri che il virus era arrivato da noi, non solo a Roma allo Spallanzani ma a Codogno, nella nostra terra, e come tutti noi hai calcolato le distanze, pensando che Codogno non fosse così lontana da Milano e da Bergamo. Quel momento ce lo ricorderemo noi Lombardi, penseremo a dove eravamo, cosa stavamo facendo, così come quando siamo stati informati delle Torri Gemelle. Solo che il virus era da noi, primi in Europa.
GA. In realtà, il virus era già da noi da un pezzo e lo sappiamo solo ora: i cinesi purtroppo non ci hanno permesso di prepararci dal punto di vista scientifico. Ha fatto molto di più l’esperienza clinica di Bergamo e di Brescia in cui abbiamo scoperto l’attacco vascolare del virus, e lo abbiamo comunicato al resto del mondo.
Si ferma Giovanni e poi aggiunge dopo un lungo silenzio – Noi abbiamo fermato un paese intero e questo è servito.
MGM. Come mai non lo abbiamo visto, a differenza di Bill Gates che ci aveva avvisato in un suo Ted Talk che il vero problema per l’umanità non sarebbe stata la terza guerra mondiale ma una pandemia?
GA. Sapevamo che sarebbe venuta ma non sapevamo quando… L’uomo sta scherzando col fuoco, la questione è ecologista: stiamo andando a turbare da sempre equilibri della natura. L’aria, l’inquinamento, lo sfruttamento senza rispetto della terra… E poi sì, i virus fanno i salti di specie perché dovremmo lasciare più tranquille certe specie.
MGM. Parliamo del libro: ha una struttura a capitoli in cui si alternano la tua voce Giovanni, quella del medico e quella di un paziente, Giorgio. Quanto è reale Giorgio?
GA. Mentre mi sentivo sicuro nello scrivere di me stesso, pensavo di peccare di presunzione infilandomi nella testa di Giorgio. Giorgio nasce da tutti i pazienti che abbiamo visto, ha delle complicanze e gli aspetti clinici che abbiamo potuto osservare sono testimonianze realmente accadute. I pazienti ci avevano confidato la paura della morte perché vedevano pazienti morire al loro fianco… In rianimazione non c’era solo un grande dolore fisico, quello con i farmaci si curava, c’era anche un enorme dolore psicologico.
MGM. C’è sempre stato, anche prima del COVID-19?
GA. Sì, c’era, ma non così grande, mai vista una cosa del genere; abbiamo riconvertito in pochissimi giorni un ospedale che non era per le malattie infettive ma per le cronicità in un Centro COVID. La cosa che mi colpiva di più era il silenzio nei corridoi: devi sapere che in un ospedale i corridoi sempre luoghi pubblici di passaggio, persone parenti medici, infermieri, barelle, è un viavai invece i corridoi erano vuoti.
MGM. Giovanni, nel tuo ebook ti soffermi molto sull’importanza dell’organizzazione e del lavoro di squadra, dei processi e della sicurezza non solo, di più, anche delle relazioni umane tra voi professionisti sanitari…
GA. Nel mio ospedale, e tu lo avevi potuto osservare quando sei venuta, c’è molta empatia tra le persone, e con il COVID-19 questa è emersa in modo straordinario. Abbiamo avuto il direttore generale che si è messo dietro la macchinetta del caffè al bar a preparare il caffè per medici e infermieri, insomma per tutti noi che eravamo sulla linea.. L’amministratore delegato era in ospedale tutti i giorni anche durante i giorni più bui, comprese le domeniche, senza saltare un giorno, facendoci sentire la sua presenza fisica. Il Presidente del Gruppo si è esposto personalmente, venendo a fare una visita l’11 marzo. Queste sono cose che non dimenticherò mai. Subito il nostro management ha voluto comprare a ogni prezzo i Dispositivi di Protezione Individuale per noi professionisti. Nessuno è rimasto indietro. E poi ho scoperto che anche le persone che credevo non fossero sufficientemente motivate a lavorare invece hanno dato il meglio di sé.
MGM. Descrivi molto bene cosa succede terapia intensiva: il vostro tempo è infinito, vorreste vedere la fine, oltre alla vostra enorme stanchezza e il tempo del paziente Giorgio che si risveglia e scopre che gli è passata una settimana. Com’è questa dimensione del tempo per te?
GA. A me sembra, addormentando un paziente, di rubargli vita, lo tengo addormentato e per me la vita va vissuta ogni istante.
MGM. Forse ci sono dei momenti in cui è meglio dormire, come nelle fiabe per non vedere… Nel tuo ebook parli di tanti gesti, segnali, nomi scritti sui camici, anzi gli scafandri, e poche parole, come se fossero sovrastrutture.
GA. Era così: le parole erano di troppo, a parte quelle mediche che erano come un codice; per capirci tra noi valevano di più i gesti, gli sguardi, il pollice in su del paziente che mi diceva che stava meglio. Solo dopo c’è stato lo spazio per le parole. Prima eravamo congelati; io ho pianto alcune volte, ma poi si sorrideva.
MGM. Forse erano le emozioni primitive principali ad avere il loro ruolo dominante, si sorrideva e si piangeva insieme, come nella storia dell’umanità, il linguaggio parlato si è sviluppato dopo, ora che ci penso. E poi i traumi congelano le parole.
GA. Sì i racconti sono venuti dopo, come quando il paziente è venuto a ringraziarci a maggio e ha riconosciuto il suo letto con il suo ventilatore, Vent lo chiamava; è stata la tecnologia che gli ha permesso di salvarsi. È una macchina, il ventilatore, con cui si ha un rapporto difficile perché sai che ti sta aiutando, ma sai anche che soffrirai un poco perché lo devi lasciare piano piano per imparare di nuovo a respirare da solo.
MGM. Infatti si dice svezzare dal ventilatore, dalla respirazione artificiale esattamente come si dice svezzare un bambino dal seno della mamma: è un distacco.
GA. Sì, tanti distacchi, tra la vita e la morte, e tanti distacchi positivi verso la guarigione. In terapia intensiva c’è stata una fratellanza che mi ha commosso, noi avevamo 35 pazienti intubati e per comunicare usavamo gli occhi le orecchie, anche affaticate perché con le tute sentivamo meno, e le mani per toccare: sapessi quanto conta, tra noi e il tocco con i pazienti, ultimo senso percepito per non lasciarli soli.
MGM. Sì. L’ultimo senso ad abbandonarci in vita è proprio il tatto… So che è difficilissimo riassumere, ma se tu volessi lasciare un messaggio fondamentale?
GA. Il COVID-19 ha annullato la differenza che esiste tra curante e curato. Noi eravamo nell’ignoto, a parte qualche tecnica che arrivava dalla Cina, tipo la pronazione o le nostre poche scoperte; di fatto eravamo di fronte a qualcosa di sconosciuto e quindi noi medici eravamo umili e impotenti. Dall’altra parte c’erano dei pazienti con noi, che percepivano la nostra difficoltà e sapevano anche che potevano essere la causa del nostro contagio. Non c’erano i parenti in mezzo, erano lontani – non che ce l’abbia con loro assolutamente, sono favolosi e utilissimi, ma in questo caso veramente eravamo soli noi medici e infermieri con i pazienti, posso dire a sostenerci e aiutarci. Abbiamo ricevuto tantissimo dai pazienti, ci hanno incoraggiato ci hanno sostenuto, e noi abbiamo dato quello che abbiamo potuto dare.
MGM. Un mutuo soccorso: consiglieresti anche agli altri tuoi colleghi che hanno vissuto la tua esperienza di provare a mettere giù nero su bianco, di scrivere, perché io ne ho sentiti tanti che sono ancora “senza parole”.
GA. Può essere una cosa utile così come lo è stata per me, era impensabile tenermi dentro tutto quanto… E l’ho fatto perché gli altri sapessero cosa era successo a Bergamo.
MGM. Il vostro ospedale è famoso in quanto ha una collaborazione con l’Accademia Carrara e ci sono riproduzioni in maxiformato di dipinti stupendi attaccati alle pareti.
GA. Li guardavamo durante il COVID, pensando anche a tutte le attività di arte terapia che abbiamo dovuto sospendere, ma questi quadri forse ci hanno aiutato. Ora ci aiutano ancora di più perché dobbiamo andare avanti nel bello, riprendendo l’arte e sapendo che la buona cura nasce dalla buona tecnologia, le buone relazioni , dei buoni processi organizzativi e da un bel luogo dove lavorare e dove cercare di fare star bene la gente. Ho stimato tanto i bergamaschi: persone che lavorano e che non si sono lamentate di tutto quello che è successo.
MGM. Grazie Giovanni per questa tua preziosa testimonianza e mi auguro che tanti altri infermieri medici e persone che sono state in prima linea trovino la forza di raccontare e di esprimere quanto è successo. È stato un piacere e anche un onore avere la tua testimonianza qui con noi e siamo orgogliosi che l’intervista venga tradotta in inglese, così che anche dall’estero, i nostri lettori possono capire che cosa ha passato la città di Bergamo e quindi anche la Lombardia di riflesso nei 40 Giorni più Bui da dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che né io né te avevamo vissuto.