Lavoro tanto e c’è molta stanchezza.
Però succedono cose carine: ieri, su un quotidiano che neanche mi piace, è apparsa una foto molto bella che mi ritrae al lavoro.
Ieri, nel tardo pomeriggio in terapia intensiva, dopo il solito turno di 12 ore, ho messo un po’ di musica, quelle compilation anni ’60/’70/’80 che si trovano su YouTube. Ci sono alcuni pazienti svegli e con la tracheotomia, e anche loro muovevano le braccia quasi in un balletto o le labbra seguendo le parole delle canzoni.
Prima che andassi via uno di loro mi ha chiamata (o meglio, ha fatto cenno di avvicinarmi) per dirmi “Grazie, ho passato un bellissimo pomeriggio”… Straordinario!
– Testimonianza di Elena Vavassori, anestesista e rianimatrice
La musica è stata parte integrante del progresso umano, col potere di trasmettere emozioni potenti: non sorprende, dunque, che si siano trovate sue applicazioni nel campo della medicina, e non solo per i pazienti. Come evidenziato da Siu e colleghi, la musica aiuta i chirurghi a eseguire più velocemente le operazioni; Ullmann e colleghi mostrano gli effetti benefici della musica in sala operatoria.
L’unità di terapia intensiva è un ambiente unico per tutte le persone coinvolte: pazienti, caregiver, professionisti e operatori sanitari. È un luogo affollato e rumoroso, con frequenti allarmi e luci lampeggianti. Diverse ricerche hanno evidenziato come questo possa incidere sul recupero dei pazienti, così come molti ricercatori si sono chiesti se la musica possa avere degli effetti benefici in questo senso, riducendo la richiesta di sedazione, migliorando i livelli di ansia dei pazienti e migliorando i parametri emodinamici.
Le ricerche sugli effetti benefici della musica sui pazienti sono in continuo aumento. Non si può dire lo stesso per i professionisti sanitari: se è noto che un certo tipo di musica possa essere utile per imparare il ritmo della rianimazione cardiopolmonare (anche se la tecnologia può, oggigiorno, disporre di metodi più precisi e innovativi), è difficile trovare ricerche specifiche sui professionisti che lavorano in terapia intensiva.
Come riporta Elizabeth Flock, alti sono i tassi di suicidio tra i medici e persino la percentuale di coloro che riportano sintomi da stress post-traumatico. In particolare, chi lavora in terapia intensiva ha a che fare con situazioni molto complesse, ed è soggetto ad alti livelli di burnout.
Allargando il focus dalla musica alle arti in generale, vediamo come sia riconosciuto il loro ruolo nel supporto degli operatori sanitari. Come evidenziato da una review del 2010 (sempre citata da Flock), la musica può ridurre l’ansia in pazienti e operatori sanitari, le arti visive possono aiutare a elaborare esperienze difficili e traumatiche, la danza può alleviare lo stress e la scrittura espressiva può aiutare a ristabilire un equilibrio.
Moss e colleghi, dell’Anschutz Medical Campus (Università del Colorado), sono impegnati in un progetto di ricerca, finanziato a livello federale, che esaminerà come l’impiego delle arti può alleviare lo stress psicologico nei professionisti sanitari. Il Colorado Resiliency Arts Lab (CORAL) proprio quest’anno ha avviato quattro programmi dedicati anche ai professionisti che lavorano in terapia intensiva: scrittura espressiva, arte, musica, danza. E anche l’Università di Chicago ha inaugurato il suo Arts Healing Program, impiegando la musica e le arti a partire dagli anni di formazione in medicina.
Anche se la ricerca degli effetti della musica sui professionisti sanitari è ancora in fase esplorativa, una buona risorsa potrebbe essere The Remedy Project: una serie di mixtape realizzata da musicisti e operatori sanitari di Philadelphia per chi vive l’ambiente dell’ospedale (pazienti, ma anche professionisti), che ha lo scopo ultimo di essere un esercizio di empatia tra personale sanitario e pazienti.