Che il paziente sia oggetto di attenzioni da parte di diversi professionisti sanitari come principalmente medici e infermieri è cosa nota, così come è nota l’attenzione dei clinici principalmente alla parte biomedicale (Kleinmann Arthur, The Illness Narratives: Suffering, Healing, And The Human Condition) piuttosto che alle altri parti, quelle psicologiche, sociali e spirituali.
Altro aspetto noto in Italia è il pullulare di specialità accreditate ECM, vale a dire le professioni sanitarie oggetto di Educazione Continua in Medicina, con le centinaia di specialità e sotto specialità mediche (cardiologia, urologia, pneumologia, infettivologia, neurologia, eccetera eccetera), infermieri, psicologi, farmacisti, fisioterapisti, ortottisti, terapisti occupazionali: non si capisce bene come in questo contesto che dovrebbe prevedere una gestione integrata della persona malata l’assistente sociale e il counselor rimangano fuori da questa rosa di possibili ruoli della ECM.
Altro dato di realtà è che l’Italia ha un’età media della classe medica sui 51 anni, con il “richiamo” di persone che vanno in pensione ad offrire servizio medico, a discapito del possibile inserimento di giovani medici, che vengono invece utilizzati con contratti a progetto, spesso assunti da cooperative, e in altre situazioni di precariato. Si richiamano “medici senior” oltre i 65 anni che vengono pagati poco, a prestazione, in quanto hanno già una pensione, mentre non si lasciano entrare i giovani medici. Non stupiamoci se poi i nostri giovani medici preferiscono l’estero come luogo per andare a lavorare.
Intanto il Grande Leviatano Amministrativo, la figura del mostro marino che ha portato il filosofo inglese Thomas Hobbes a paragonare la sua forza con il potere assoluto dello Stato continua a triturare talenti preservando il posto di lavoro, per cui le soglie della quantità di amministrativi in Italia, per lo meno nel settore pubblico è imbarazzante: da un 30% negli ospedali del Nord Italia a un 50% nel Sud Italia, con picchi dove è evidente che la amministrazione non è altro che un ammortizzatore al nostro articolo 1 della costituzione, dare un posto di lavoro su cui è fondata la nostra repubblica. Ma il Grande Leviatano è intoccabile, inamovibile, e, sebbene i bolli abbiano lasciato il posto alle certificazioni elettroniche, e il personale ha seguito la giusta formazione informatica, di fatto continua ad avere il suo contratto a tempo indeterminato, non viene ruotato in luoghi dove esistono enormi vuoti assistenziali. Non stiamo parlando di prestazioni cliniche ad alta complessità, ma di attenzioni sociali, i pasti a casa da portare per gli anziani, vacanze di sollievo da organizzare per le persone con disabilità, oppure adoperarsi per rendere più belli i luoghi di cura.
Intanto i medici sono precari in pronto soccorso, con contratti rinnovati di sei mesi in sei mesi e se non fosse per il loro enorme spirito vocazionale e missionario, la sanità acuta, quella del salvare le vite delle persone si fermerebbe. Il Leviatano continua imperterrito a nuotare nel mare della politica immobilista.
Se per fortuna e per missione viene curato il corpo del paziente, ecco che è ancora più drammatica la situazione dei servizi sociali, diventati troppo spesso luoghi di adempimento burocratico per la richiesta di sussidi di disabilità, con formulari complicati richiesto dal grande Leviatano. Valgono in questa analisi ben più delle sfumature delle divergenti prassi, ma gli oceani di diversità tra Regioni in cui l’assistenzialismo funziona in modo sostanziale e non formale e altre dove, a parte le carte, vuoi via posta o via mail, il vuoto prende il sopravvento (nemmeno la forma).
Che le risorse siano scarse è un luogo comune che ci siamo tirati dietro come mantra dalla fine degli anni ’80, e altro luogo comune è stato che le risorse non sono state gestite bene. Ed è vero, pessima gestione, autodifesa del Management amministrativo, qualche fortino di primariati medici, ora sempre più senior, difficoltà a passare il testimone della prassi clinica a giovani, in quanto i decani a volte non li hanno fatti diventare autonomi a sufficienza per paura di perdere ruolo e prestigio. Ci si ricorda del paziente, in una sanità politicizzata, la settimana prima delle elezioni, così come nelle città i sindaci la settimana prima si mettono a fare promesse di aria pulita e costruiscono piste ciclabili.
Per fortuna ci sono delle oasi, dei luoghi dove il Management è illuminato, ci si distacca dai dettami del Leviatano e fa entrare nei luoghi di cura altri professionisti che riuniscano le parti dimezzate del paziente. Entrano filosofi per parlare di questioni esistenziali come la salute e la malattia, entrano artisti e arte terapeuti per usare l’arte come modalità di cura- è comprovato dal punto di vista neuroscientifico che funziona e trasmette benessere, entrano maestri di canto che insegnano ai pazienti con malattie polmonari a respirare cantando, e ancora esperti di mindfulness (quella che una volta la nostra generazione chiamava Yoga e che è stato ribattezzata con un termine inglese per sdoganare l’accesso nei luoghi di cura), che portano benefici attraverso la meditazione sul qui e ora nei malati.
E se non entrano nei luoghi di cura, accanto alle prescrizioni mediche ecco che ci sono le prescrizioni sociali, per cui gli assistenti sociali, gli educatori, gli arte terapeuti portano le persone con disabilità fisiche e mentali nei musei e nei laboratori artistici, dove e persone liberando la propria creatività, liberano endorfine e serotonina. Le prescrizioni sociali nascono in UK, ci piaccia o no, un paese che non solo ha fondato il servizio sanitario nazionale nel XIX secolo ma ha avuto particolare attenzione allo sviluppo e all’inclusione delle altre professioni che curano l’altra parte del paziente, quella della psiche- anima- e che comunque ha ripercussioni sul corpo.
Anche in UK e soprattutto in questo momento, stanno attraversando un tempo di crisi, in parte dovuto al tentennamento strategico rispetto al Brexit, e anche qui primi a pagare dazio sono i sistemi di welfare pubblico, quei sistemi così ben strutturati perché inclusivi le cui basi sono il modello bio- psico-sociale e spirituale. Il tema per non “dimezzare” il paziente è istituire una figura che loro chiamano il “facilitator”, facilitatore, che attiva le professioni corrette come le prescrizioni corrette (sociali e/o mediche) a seconda del bisogno: un po’ come quello che vent’anni fa veniva chiamato il Case Manager, che però aveva un ruolo molto più clinico e meno assistenziale. Il case manager era frutto di una filosofia che poggiava sul “Disease Management”, un sistema di processo diagnostico terapeutico standardizzato messo a punto sia dagli economisti come dai professionisti sanitari, considerando l’Evidence Based Medicine. In UK esiste la Società di Arteterapia, di Musicoterapia e persino di Sound Therapy: e quest’ultima si chiama Royal Society di Sound therapy. Insomma ci si crede in queste discipline, le si studiano in modo scientifico e hanno dignità “reale”.
Oggi, per noi studiosi di Humanitas Medico Scientifiche, abbiamo ben introiettato il riduzionismo della parola Disease – malattia in senso biomedicale- e dobbiamo spostare la nostra attenzione all’Illness management, ovvero alla cura della persona ammalata in tutti i suoi molteplici aspetti, corpo, anima, valori, passioni, attività, legami, emozioni, credenze, progetti..
Forse è per questo che il Disease Management è parzialmente fallito così come è parzialmente fallita la EBM: il paziente sezionato non viene curato per intero, mentre un approccio inclusivo, che non deve essere confuso con l’aspetto OLISTICO new age, diventa scientificamente preponderante e funziona.
In Italia si aprono ambulatori di medicina narrativa, che fanno un po’ da “facilitator”: stiamo a vedere i risultati. Più che di strutture dedicate, sarebbe bello formare il personale del grande Leviatano a fare meno burocrazia e a diventare “facilitatori”, oppure oltre, domani, attraverso debita formazione, musicoterapeuti o arte terapeuti, magari finalmente riconoscendo queste professioni nella ECM. Far fare anche a loro un lavoro di senso più qualificato.
E ultima considerazione: con tutta l’arte e la musica che abbiamo in Italia, oltre alle competenze cliniche per cui i nostri medici vanno a lavorare all’estero e vincono subito i concorsi per la grande preparazione perché dobbiamo perdere questa occasione? Riuniamo le parti del paziente, mettiamo a dieta la burocrazia, e includiamo in modo transdisciplinare i linguaggi di cura e i loro professionisti.