Giovanni Pizza, nel suo manuale “Antropologia medica” (Pizza 2005), ci parla in chiusura di un “metodo umano”, ovvero una critica nei confronti del modello biomedico della cura, con l’obiettivo di mettere in primo piano la necessaria e inevitabile umanizzazione del paziente. L’autore ci parla dei movimenti intellettuali sorti nel mondo, definitisi afferenti a un “umanesimo medico”, i quali hanno dato vita alla disciplina delle medical humanities.
Secondo Pizza l’importanza di essere “umani” non risiede nella dimensione biologica ed è per questo che si rende necessario, se davvero si vuol discutere di un metodo umano, ripensare il concetto stesso di natura umana. Interessante, in chiusura del capitolo dedicato a quest’argomento, la citazione gramsciana:
Diciamo dunque che l’uomo è un processo e precisamente è il processo dei suoi atti […] che la “natura umana” sia il “complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente, perché include l’idea del divenire. (Gramsci 1975, p.1343, 885; in Pizza op. cit.)
Ritengo che la disciplina sviluppatasi sotto il nome di Medicina Narrativa rientri di buon diritto sotto questa definizione di metodo umano, di più, ritengo vi rientri nel suo lato più sincero, attivo e critico. Basti pensare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2016 ha rilasciato un report interamente dedicato alla medicina narrativa e alle sue linee guida, intitolato Cultural contexts of health: the use of narrative research in the health sector. Il documento è stato realizzato da Trisha Greenhalgh, professoressa di Primary Care Health Sciences all’università di Oxford, in collaborazione con Brian Hurwitz del King’s College di Londra e Maria Giulia Marini, direttore dell’innovazione della sua area di Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. L’abstract del documento può aiutarci a illuminare maggiormente le competenze e gli obiettivi di questa pratica clinica:
La narrazione (storytelling) è uno strumento essenziale per raccontare e illuminare i contesti culturali della salute – cioè le pratiche e i comportamenti che i gruppi di persone condividono e che sono definiti da costumi, lingua e geografia. […] Lo storytelling (e l’interpretazione della storia) appartiene alle discipline umanistiche e non è una scienza pura, anche se tecniche consolidate di scienze sociali possono essere applicate per garantire il rigore nel campionamento e nell’analisi dei dati. I casi di studio illustrano come la ricerca narrativa può trasmettere l’esperienza individuale di malattia e benessere, integrando in tal modo […] dati epidemiologici e di salute pubblica. (Greenhalgh 2016, p.ii, traduzione mia)
Il tema mensile della nostra rivista è questa volta legato ai risultati statistici e alle misurazioni in grado di rendere conto di quanto la disciplina della medicina narrativa possa concretamente portare benefici ai pazienti, ai professionisti sanitari, ai caregiver e in generale al sistema medico. Purtroppo, ad oggi, gli articoli che vanno a indagare approfonditamente in questa direzione sono ancora troppo pochi, ma da più fronti viene ormai reclamata la necessità di una maggiore attenzione e maggiori analisi in questa direzione. Per esemplificare al meglio questo proposito abbiamo passato in rassegna e riportato alcuni studi molto evocativi:
- In pazienti gravi ospedalizzati, ad esempio, una conversazione di 30-60 minuti con medico o infermiere nel protocollo di cura ha generato una riduzione significativa dei periodi di degenza e un aumento del numero di pazienti ritornati nella propria abitazione. (Temel JS, et al. Early palliative care for patients with metastatic non–small-cell lung cancer. N Engl J Med 2010; 363: 733-42)
- In nefrologia invece, spesso i clinici non dedicano il giusto tempo per informare e motivare o pazienti sui vantaggi del sottoporsi, prima di cominciare l’emodialisi, ad un intervento chirurgico per l’inserimento di una fistola artero-venosa. Ne risultano alti tassi di infezioni e complicazioni legate all’utilizzo di un catetere. Una mancata comunicazione (costo del tempo dedicato di 200 dollari) può determinare un peggioramento delle condizioni del paziente e un aumento delle spese fino a 20.000 dollari nei sei mesi successivi all’inizio della terapia. Haas DA, Krosner YC, Mukerji N, Kaplan RS. (Delivering higher value care means spending more time with patients. Harvard Business Review. December 26, 2014)
- Uno altro studio ha messo poi a confronto sei possibili alternative di cura e ha evidenziato che tra queste, l’unica proposta terapeutica che prevedeva una relazione medico-paziente (investimento di 100-200 dollari) ha generato una riduzione del 5% dei costi associati e del 12% delle ammissioni ospedaliere. (James J. Health policy brief: patient engagement. Health Affairs. February 14, 2013)
- Basti infine pensare allo studio condotto in collaborazione con Fondazione ISTUD (Paolo Banfi, Antonietta Cappuccio, Maura E Latella, Luigi Reale, Elisa Muscianisi, e Maria Giulia Marini (2018) Narrative medicine to improve the management and quality of life of patients with COPD: the first experience applying parallel chart in Italy, Dovepress, 13: 287–297), dedicato al possibile miglioramento nelle strategie di cura della BPCO. Tra ottobre 2015 e marzo 2016, 50 pneumologi italiani sono stati coinvolti nella raccolta di cartelle parallele appartenenti a pazienti anonimi affetti da BPCO. La scarsa adesione alla terapia e il fallimento degli attuali programmi per smettere di fumare dimostrano che l’attuale gestione della malattia può essere migliorata, ed è necessario educare i medici su nuovi approcci per la cura dei pazienti. 243 le cartelle parallele raccolte: le conversazioni sono risultate positive nel 78% dei racconti, mostrando una conoscenza reciproca più profonda, fiducia nella capacità dei medici di stabilire una terapia efficace (92%), nel sostenere gli sforzi per smettere di fumare (63%), o ripristinare le attività dei pazienti (78%).